And you are...
You're exceptional
The way you are
Don't need to change for nobody
You're incredibile
Anyone can see that
When will you believe that?


martedì, gennaio 04, 2011

Un futuro già vissuto, quindicesima parte: un futuro già vissuto

Si dice che il lutto si elabori in cinque fasi.
Negazione, rabbia, contrattazione, depressione ed accettazione.

Non mi sono mai interessato troppo sugli studi psicologici di Ross, e difatti non so se ho mai superato tutte queste fasi sulla morte di mio padre. Sta di fatto che, un uomo identico a lui era davanti ai miei occhi.

“E pensare che ti ho lasciato pure una bella casa in eredità. Non hai proprio rispetto per il tuo vecchio. A proposito, in che anno ci troviamo? Ti sei fatto bello grande!”
Forse stavo dormendo. Forse stavo sognando.
Prima fase: la negazione.
Forse ero morto col signor Akai. Forse dovevo solo accettare che di fronte a me avevo Kiiro Farey.

“Che fai, non vieni ad abbracciare tuo padre? Secondo i miei conti, è da minimo cinque anni che non mi vedi!”
Aprì le braccia come invito per un eventuale abbraccio. Corsi verso di lui, ma gli tirai un pugno.
Seconda fase: la rabbia.
“Cosa ci fai qui?? Tu eri morto. Tu sei morto! E se non sei morto, mi hai lasciato sei anni in preda ai dubbi e ad un’adolescenza che sembra non finire mai! Perché non mi hai detto che amavi la musica? Perché non mi hai detto che conoscevi il signor Akai? Perché…”
Perché, perché, perché. Tentavo di chiedere qualcosa a ciò che io consideravo un fantasma.
Terza fase: la contrattazione.

Lui non reagì al mio pugno. Invece, mi abbracciò. La rabbia svanì. Cominciai a piangere. Non so quanti possono dire di aver provato un’emozione simile. Mi sentivo triste, ma felice. Ma ora era il turno della spiegazioni. Mi allontanai lentamente e chiesi a chiunque fosse quella persona delle spiegazioni.

“Allora, figliolo, partiamo subito in chiaro: io sono morto. Almeno, questo è ciò che mi sono preposto di fare oggi. Certo, così sembra una cosa un po’ controversa. Io vengo dal passato. Per me, oggi è il 30 gennaio del 2006. Pensavi di essere l’unico di poter viaggiare nel tempo? Tutti i Legato ci riescono. Io, tu, mio padre. E così via.”
Cominciai a non capire nulla. Mio padre mi suggerii di sedermi. Aveva molto da raccontare.

“Il tuo problema, Akira, è che non ti sei mai posto troppe domande. Ricordi cosa mi hai detto prima? Cioè, sei anni fa?”
Il giorno in cui andai allo studio? E chi se lo ricorda?
“Che non volevo che la mamma mi parlasse, che…”
“Dassi. Hai detto la parola “dassi”. Non ti sei chiesto perché non ti abbia corretto? Eppure pensavo che avessi capito quanto ci tenessi alla grammatica, a casa mia.”
Ho detto veramente “dassi”? E che vuol dire?
“Non ti ho corretto perché sapevo che sarebbe stato l’ultimo giorno della mia vita, e non avevo voglia di litigare anche per delle futilità. Ti sei mai chiesto come mai ho acconsentito a lasciarti in Giappone, senza insistere oltre? Ti sei mai chiesto come sia entrato qui il pacco, nonostante la doppia serratura che hai installato? Ti sei mai chiesto come mai non ti ho mai detto nulla del mio passato? Non ti sei mai chiesto nulla. Il dubbio crea l’uomo, ragazzo. Se non ti metti in dubbio, non riuscirai mai a capire quanto siano grandi le tue certezze.”
Si sedette. Sicuramente, aveva una storia molto lunga da raccontare.

“Nacqui nel 1960, in Giappone. Mio padre era italiano, mentre mia madre era giapponese. La prima cosa che ricordo della mia infanzia, sono i miei zii. Sono cresciuto sentendomi dire che i miei genitori erano morti in un incidente stradale, quando avevo due anni. Ma la verità era differente. Mia madre Fairy morì davvero, ma mio padre Stefano no, anche se ti dissi diversamente.”
Stefano. Ecco di chi parlava la mia prozia.
“La polizia lo arrestò per omicidio volontario, quando sicuramente la persona più scossa era sicuramente lui. Trent’anni di prigione, ma non era legato, nonostante il suo cognome. Poteva uscire quando voleva dalla prigione, grazie al suo potere. Molte volte, andava nel futuro e veniva da me quando ero un ragazzo, mi veniva a prendere da scuola e così via. Mi disse che era mio padre, anche se non ci credevo. Mi fece leggere un libro, che parlava della storia dei Legato. Era molto grande, ma mi fece leggere solo la parte importante, che riguardava le generazioni dalla 25esima alla 27esima, ossia lui, io e tu. A quanto mi raccontò, ebbe il suo primo viaggio nel futuro a 18 anni, nel 1957, dove vide la sua morte, e dove vide il famoso 7 marchiato nel tappeto. Lo vedi pure tu, vero? Ognuno può vedere il suo numero a partire dal 7. Anche se non ho capito la velocità di tale numeri, dato che il mio 7 non durò 7 anni. Come neppure il tuo, penso. Sta di fatto che, per evitare quel destino, mio padre scappò in Giappone, dove conobbe la mamma. Si sposarono giovanissimi, partorirono un figlio maschio cioè il sottoscritto, poi il numero nel tappeto divenne uno zero. Mio padre si salvò, mia madre morì.”
Stavo ascoltando senza interrompere, ma i dubbi mi attanagliavano. Non mi ero mai chiesto come mai il numero non l’avesse mai visto nessuno apparte me. Non mi ero mai chiesto nulla. Mio padre aveva ragione.
“Mio padre fu arrestato e io fu affidato ai miei zii. Negli anni 80 fondai gli Slashion, ma a quanto vedo lo sai già. Come l’hai scoperto?”
“…ricordi la ragazza di Seyo, di cui ti parlai? È la figlia di Akai.”
“Nooooo, davvero? Akai Shiteru? Ma non piaceva l’altra figlia, a te? Com’è andata?”
“Ci siamo sposati qualche mese fa. Ora aspetta un bambino.”
“Ma tu guarda le bellezze della vita! Chi l’avrebbe mai detto! E Akai come sta?”
“È morto oggi.”
“Ah. Se non fosse che dovessi morire anch’io, oggi, sicuramente mi dispiacerebbe, ma devo pensare anche alla mia di morte. E poi dalle mie parti ha ancora sei anni di vita, teoricamente. Comunque, di certo non è stato tutto merito del caso se oggi sei sposato con la figlia del mio migliore amico. Sai cosa successe a Saki, allora, vero?”
“Sì, a grandi linee.”
“Morì in circostanze analoghe alla morte di mia madre. Cominciai a pensare che tutto quello che diceva mio padre non era solo frutto del caso. Avevo viaggiato qualche volta nel tempo, secondo gli insegnamenti di mio padre, ma non avevo ancora il pieno controllo. Dato che non volevo portare altra morte e dato che mi sentivo in parte responsabile della morte di Saki, andai in Italia, dove avevo una casa dove abitavano i miei nonni paterni. Lì, seppi pure della notizia della morte di Kuroi, tramite la televisione. Fu un momento per me tragico. Cominciai a pensare di non portare nulla di buono. Poi, conobbi tua madre, Concetta. Riportò il sole nella mia vita. Ci sposammo e nascesti tu. Nulla poteva andare storto, pensai. Misi da parte la musica, promettendo a me stesso di non toccare mai più una chitarra e di non cantare mai, regola che ho trasgredito molte volte quando ancora eri un bambino. Ricordi cosa ti cantavo quando eri bambino?”
“Vagamente. Era una canzone cristiana, vero? Qualcosa con Face to face…”
“Esatto. Per l’esattezza, era Wish di Brian Littrell.”
“?? Ma il cd solista di Brian è del 2006!! Come facevi tu a conoscere vent’anni prima…”
Mi zittii da solo quando mi accorsi della domanda ridicola che stavo per porre.
“Oh, vero. Scusa. Continua pure.”
“Arrivammo in Italia, non prima di aver lasciato incarichi particolari al commissariato in Giappone. Volevo essere informato sulla scarcerazione di mio padre. Ero l’unico che poteva contrastare il suo desiderio di vendetta. Nonostante potesse viaggiare nel tempo, non aveva ancora raggiunto tutti gli stadi. Doveva leggere il libro scritto dal nostro progenitore, per apprendere tutto, come per esempio aumentare l’intensità dell’effetto farfalla ed apportare cambiamenti fisici nel futuro che visitava. Potere che, suppongo, nel tuo tempo ha raggiunto a pieno.
Crescemmo felicemente senza problemi, finché un giorno, al lavoro, presi una malattia strana. Una malattia dove, dicevano, avevano solo una cura sperimentale, che stavano studiando all’epoca. Mi portarono in una stanza isolata, dove vi era una altra persona malata di quella malattia. Parlo di Jun Shiteru. C’era pure sua figlia, suppongo che adesso sia tua cognata. Mi riconobbe facilmente, ero molto famoso per i trentenni giapponesi dell’epoca. Parlammo molto, finché lei non morì. Pensai che mi sarebbe toccata la stessa sorte, se mio padre non fosse venuto da me con una medicina del futuro. Pensai di doverlo ringraziare, ma non sapevo che l’aveva fatto per un suo tornaconto. Voleva dimostrare a se’ stesso che la morte dei Legato poteva essere evitata. Ma così non fu. Appena tornai a casa, notai il numero 7 tramutarsi in 6 nel tappeto.”
“…portò una medicina dal futuro? E la usò per curare solo te?”
“Molto probabilmente, non gli interessava nulla di Jun. Così come di me. Voleva solo dimostrare a se stesso di poter sfidare il destino. Nonostante ancora non aveva il potere di intensificare l’effetto farfalla, era pur sempre un uomo pericoloso.”
“…e quella medicina? Sapresti riprenderla? Possiamo usarla per curare il signor Akai. Possiamo…”
“No, figliolo. Non è nostro il compito, capisci? Non è nostro obiettivo cambiare il passato, il presente, ed il futuro. Anche se lo hai già vissuto ed è tremendo. Un futuro sconosciuto è migliore di un futuro già vissuto.”
Mi sedetti a pensare. Forse era egoista. Ma forse, l’egoista ero solo io. Continuò il discorso.
“Il 7 procedeva lentamente. Ricordo che il numero 4 era bello fiammeggiante, quando mi arrivò la chiamata dal Giappone. Mio padre era libero. Dopo 37 anni di carcere, l’avevano liberato. E io ero l’unico che poteva evitare una strage. Non sapevo ancora cosa avesse in mente, ma dovevamo andare. Così, nel 2000 partemmo in Giappone senza darti nessuna spiegazione. Ovviamente tua madre sapeva tutto. Era una donna che non si meritava affatto un uomo come me. Che l’avrebbe portata alla morte in giovane età.”
Chiesi una pausa a mio padre dal racconto per bere un po’ d’acqua. Cominciai a riflettere sulla mole d’informazioni che stavo ricevendo. Cosa voleva dirmi, che quando quel 5 avrebbe raggiunto lo 0 sarei morto? O sarebbe morta Seiryn? Non capivo. Non accettavo. Non…non sapevo.
“Eccoti di nuovo. Appena arrivati in Giappone, la prima cosa che feci fu far cambiare il cognome a tutta la famiglia. Kiiro Legato era ancora parecchio famoso, quindi scelsi il primo cognome che avevo in mente e tramutammo il Legato in Farey. Non dovevo incontrare nessuno, special modo Akai. Se avessi avuto troppi legami, la mia missione sarebbe stata molto più difficile. Tornai a casa di mio padre. Era vuota. Cercai il libro, ma ne trovai solo una parte, la seconda. Non feci in tempo a cercare la prima che vidi mio padre entrare. Cominciammo a parlare e mi chiese di consegnargli il libro. Mi rifiutai. Cominciammo una sfida senza esclusioni di colpi tra presente e futuro. Finii che riuscii a sigillare il libro nel 2010, in qualche modo. Non poteva agire sul futuro, quindi gli fu impossibile recuperarlo fino a quell’anno. E finché non aveva piena padronanza dell’effetto farfalla, non poteva riprenderlo in alcun modo. Promise di uccidermi, ma si rimangiò la parola quando mi fece uscire di bocca che non avevo ancora molto tempo allo scoccare dello zero nel tappeto. Se ne andò ridendo, cercando la prima parte del libro. Non avevo più la forza di contrastarlo. Senza contare che la prima parte del libro ce l’avevo io, con me.”
Uscii un piccolo libriccino con scritte minuscole, il cui titolo era “La dinastia dei Legato – Parte I”. Non c’era verso di leggerlo senza lente d’ingrandimento.
“Qui ci sono le basi sul viaggio del tempo, cose che mio padre scoprì andando nel futuro e leggendolo per conto suo, poi bruciandolo. Difatti, questo libro brucerà tra qualche giorno. Quindi usalo per imparare le basi sui viaggi del tempo. Lo lessi pure io, e cominciai a viaggiare nel tempo. Capii che sarei morto nel 2006, quindi cominciai a pensare su cosa dovevo fare. Sapevo come sarei morto, ma se volevo potevo facilmente evitarlo. Parlai con tua madre, che mi disse delle semplici parole “Andrò dove andrà il mio amore”. Lì capii che non potevo rifiutare il mio destino. Avevo abusato di un potere il quale prezzo è la morte. E così, oggi morirò, ma penso che tu lo sappia. Appena tornerò nel mio tempo consegnerò il pacco con gli effetti personali ad un postino, che te li consegnerà. A proposito, hai ricevuto l’eredità?”
“…sì. Era un viaggio nel futuro dove mi informarmi della morte del signor Akai?”
“Esatto per metà. La tomba che dovevi vedere era la tua, teoricamente. L’eredità ti doveva spedire a qualche giorno dopo la fine del conto alla rovescia. Non hai visto la tua tomba, nel futuro?”
“Un fulmine l’aveva rovinata.”
“Capisco. Dovevo stare più attento. Comunque, penso di non aver più nulla da dire. Sono totalmente tuo, per ancora qualche ora. Dimmi quello che vuoi.”
“Il nonno…trovò quel libro?”
“Penso di sì, anche se nel 2010. Ma oltre questo, non so quale possa essere il suo obiettivo.”
Non avevo più nulla da chiedere, aveva già risposto a tutto. Volevo solo raccontare. L’università, i Trespasser, i miei amici, il matrimonio. Mio padre era lì per ascoltarmi. Cominciai a ridere, nonostante la tristezza di quel giorno.

Ma non poteva durare per sempre.
“Il mio tempo sta per finire. Devo tornare al presente. Ho un’appuntamento con la morte. Mi sono già preparato psicologicamente, non la temo. Senza contare che ho fede sul dove andrò. Leggi ancora quel meraviglioso libro che ti ho lasciato dopo la mia morte?”
“S…sì…ma solo una volta all’anno.”
Cominciai a piangere. Stava per salirmi tutta l’angoscia.
Quarta fase: la depressione.
“Male, dovresti leggerlo più spesso. Su quel libro ci sono tutte le risposte di cui hai bisogno. Se ti senti solo, o abbattuto, o qualunque altro sentimento negativo tu possa avere, in quel libro e nel Suo scrittore ci sono tutte le risposte. È quella, la mia vera eredità.”
“O…ok…L-Lo leggero più spesso.”
Era la prima volta che oltre a piangere cominciavo pure a balbettare.
“Promesso? Ehi, che ne dici di cantare insieme?”
Cantammo la sua canzone preferita, Wish. Si può dire che cantò solo lui, io arrivatò a metà cominciai a piangere come un bambino. E forse, ero ancora un bambino. Almeno, così volevo essere ai suoi occhi.
“Il tempo è definitivamente scaduto. Devo andare. Addio, Akira. Cresci forte, mi raccomando.”
“P…papà!”
“Che c’è?”
Lo abbracciai più forte che potei. Il pianto, il singhiozzo, il balbettio. Nulla mi impedii di dare l’ultimo saluto a mio padre.
“Papà…addio…ti voglio bene!”
Sorrise soddisfatto.
“Era da tanto che non me lo dicevi. Anch’io ti voglio bene, figliolo. Addio. Ci rivediamo in un’altra vita!”
Dopodiché, scomparve.
Era la mia seconda grande perdita, quel giorno. Era come se mio padre fosse morto di nuovo. Avevo perso pure il signor Akai. Mi fu difficile accettare tutto. Mi buttai sopra il letto cominciando a piangere. Almeno, la rabbia era svanita. Dopo un’ora di pianto, presi la prima parte della Dinastia dei Legato ed iniziai a leggerla, con l’aiuto di una lente d’ingrandimento. Ci stesi tre ore per leggerla tutta. Ma arrivai alla fine di quel libro. Mi alzai dal letto e cominciai a parlare ad alta voce. Forse, volevo che anch’io credessi a quello che stavo per dire.
Quinta parte: l’accettazione.

“Akira Farey muore oggi. I suoi successi, il suo passato, il suo presente. Il futuro che ho visto finora apparteneva ad Akira Farey. E lui non c’è più. Io sono…Io sono Akira Legato. Figlio di Kiiro Legato. Un solo cognome, una sola famiglia. Mio padre è morto perché credeva in sé. Ed ora, tocca pure a me credere in me stesso.”

Dopo aver pronunciato quelle parole, alzai lo sguardo. Asciugai la mia ultima lacrima, dopodiche andai.

Nel futuro.

FINE QUINDICESIMA PARTE.

FINE "UN FUTURO GIÀ VISSUTO"




(Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Story by Brian Farey. All right reserved.©)

2 commenti:

  1. ................deludente......

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  2. Meno d'impatto e più commovente degli altri capitoli, mi aspettavo un epilogo più scoppiettante anche se credo che non sia ancora finita la storia dei Legato,un pò troppa macchinosa la narrazione a volte confondevo quando parlava akira da quando parlava il padre (parlo da lettore e non da esperto) a parte questo rimmarro un tuo fedele lettore......

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